Il fascino dell’horror
Il genere horror riveste un ruolo centrale nell’universo videoludico, in grado di catturare l’immaginazione dei giocatori e di trasportarli all’interno di universi inquietanti e ricchi di suspense. Intersecandosi con meccaniche classiche di altri generi, il videogioco horror stuzzica le fantasie più disturbanti di ognuno di noi, conducendoci nello spazio in cui terrore ed eccitazione si stuzzicano.
All’interno della macrocategoria dell’horror, ho diretto per piacere la mia attenzione verso quella tipologia di horror che abbraccia la quotidianità in tutte le sue forme, che sfugge dal concentrare il proprio focus su elementi soprannaturali, mostri e ambientazioni particolarmente estreme e che trasforma l’ordinario in qualcosa di profondamente disturbante, più vicino al nostro sentimento.
Dopotutto, la capacità di rendere spaventoso ciò che è familiare è in grado di distruggere ogni certezza. Prendiamo ad esempio giochi come Silent Hill o Resident Evil i quali hanno avuto il merito di saper sfruttare ambientazioni comuni – una piccola città, una villa – e di trasformarle in luoghi di terrore. Il concetto di base è semplice: quando l’ambiente è riconoscibile, il senso di sgomento è più immediato e tangibile.
Nella nostra sfera quotidiana, siamo dotati di un grado di controllo sull’habitat circostante e sulle nostre azioni e l’horror che sfrutta la distruzione dell’ordinario ribalta le sicurezze che ci appartengono. La conseguenza è l’insorgere di un senso di impotenza quasi ancestrale, amplificato dalla immediata riconoscibilità dell’ambientazione e dal riaffiorare di un senso di vulnerabilità che si ribalta nella vita reale.
Perché abbiamo bisogno di giochi horror che abbraccino l’ordinario
Come detto, l’ordinario è qualcosa con cui è agevole identificarsi. Una casa, una scuola, un ufficio sono luoghi che facilmente riconosciamo e che quando vengono distorti in qualcosa di sinistro generano un impatto emotivo molto forte. Diverse opere videoludiche hanno dimostrato quanto possa essere efficace questa formula. P.T., il teaser giocabile di Silent Hill, è un perfetto esempio di come un ambiente domestico possa trasformarsi un incubo.
Il gioco, difatti, propone una ambientazione casalinga del mondo di gioco: un corridoio, una porta che cigola, una radio che trasmette messaggi inquietanti. Elementi semplici che, combinati insieme, creano un’esperienza di gioco memorabile. Il merito di P.T. è stato quello di dimostrare che non necessariamente è indispensabile utilizzare creature gargantuesche o ambientazioni apocalittiche per generare terrore.
Non necessariamente, però, l’ordinario fa riferimento all’ambientazione proposta da un titolo. In Outlast il giocatore si muove all’interno di un manicomio abbandonato, set lontano anni luce dal senso di ordine trasmesso da un’abitazione. Eppure, il gioco sfrutta la paura dell’ignoto e dell’isolamento, il senso di oppressione e di nausea, sentimenti che molti di noi hanno provato almeno una volta, per esaltare il suo potenziale.
La sensazione di essere inseguiti da qualcosa di sconosciuto, privi di alcuna possibilità di difesa, impotenti dinanzi alla necessità di dover sopravvivere, necessità alla quale noi tutti ci aggrappiamo – anche inconsciamente – durante l’esistenza, è un’esperienza che tocca corde profonde nella psiche umana e che si traduce in una esperienza di gioco memorabile.
L’interiorizzazione dell’ordinario, e di conseguenza lo stravolgimento dello stesso, è invece alla base di Layers of Fear, opera che merita di essere menzionata per la complessa lucidità con cui affronta tematiche di rilievo. Ambientato in una casa vittoriana, il gioco esplora la mente di un artista che sta lentamente impazzendo e rappresenta il declino del protagonista attraverso lo scombussolamento dell’ambiente circostante.
Il titolo scherza con la percezione del giocatore, distorcendo in modi sempre più inquietanti il set in cui è ambientato. La casa, e dunque la scena, diventa riflesso della mente del protagonista, specchio emozionale nel quale il giocatore viene trascinato all’interno di un viaggio psicologico che sfida la percezione della realtà.
Un battito nel muro, un gioco di luci
Il rumore dei passi che si avvicinano. Il sibilo di una voce incomprensibile. Quante volte questi suoni hanno generato panico in noi, un senso di schiacciamento così forte da farci sudare freddo. L’utilizzo del suono è elemento chiave nella costruzione di una efficace atmosfera horror senza il quale difficilmente un titolo del genere reggerebbe.
Opere del calibro di Amnesia: The Dark Descent e SOMA hanno dimostrato quanto importante sia l’utilizzo efficace di un sistema di effetti sonori per suscitare tensione nel giocatore. Questi, difatti, mantengono il giocatore in un costante stato di ansia mista a panico, oltre a fungere da segnali premonitori dell’arrivo di un nemico.
Notiamo, dunque, come il sound system, abbinato ad un sistema di illuminazione efficace, diventi elemento di gameplay oltre che costituire una introduzione accessoria puramente estetica. In molti titoli horror, il giocatore è costretto a navigare in ambienti bui, magari con solo una torcia o una candela per illuminare la via.
Questo non solo permette di aumentare il senso di tensione, ma costringe il giocatore a fare affidamento su altri sensi, rendendo l’esperienza maggiormente più immersiva e angosciante. Alan Wake è un ottimo esempio di utilizzo della luce come arma contro il male, ma anche come fonte di conforto in un mondo oscuro.
In tema di uso del sound design, Hellblade: Senua’s Sacrifice offre una esperienza immersiva incredibile, pur non rientrando a pieno titolo nella categoria degli horror. L’audio binaurale del titolo diventa parte integrante del gameplay e il sound design riflette l’esperienza soggettiva di Senua, caratterizzata dalla continua lotta con la sua psicosi, permettendo al giocatore di percepire interamente il disagio provato dalla protagonista.
Quando l’orrore si fa strada
L’horror nei videogiochi è un genere in continua evoluzione, che si modula a seconda della tipologia di titolo in cui si inserisce e che non sempre abbraccia interamente una determinata opera videoludica. Capita di frequente che le case di sviluppo inseriscano elementi tipici del genere horror all’interno di un titolo, ad esempio, prettamente narrativo.
Su questo punto, The Last of Us ha avuto il pregio di dimostrare quanto importante sia una narrazione convincente per creare un’esperienza di gioco memorabile. La storia di Joel ed Ellie è al centro dell’esperienza e il gioco esplora lateralmente temi come la perdita, la sopravvivenza e l’amore in un mondo post-apocalittico.
L’horror non è semplicemente tradotto nell’inserimento degli zombie ma si eleva nella continua lotta interiore dei vari personaggi per mantenere una propria umanità all’interno di un mondo che ha smarrito ogni coscienza e che si è farcito di personaggi dall’animo egoista. Il terrore si respira, non è tangibile, è aria che respira durante l’intero percorso.
Ciò non vuol dire sminuire l’efficacia dell’horror sull’esperienza. Ogni elemento inserito all’interno di The Last of Us trasuda angoscia e panico, dall’ambientazione di gioco, a tratti tetra ed a tratti lucente, fino alla modulazione delle personalità dei personaggi principali del titolo, passando, ovviamente, per la caratterizzazione estetica dei vari zombie.
Come non citare, a proposito, Bioshock, serie nella quale elementi di gioco action-rpg e horror si fondono per creare una esperienza quanto più disturbante possibile. Rapture diventa teatro di una utopia fallita, sogno infranto di libertà e progresso, offrendo ambienti claustrofobici così serrati da provocare un senso di isolamento senza pari.
Eppure, ciò che maggiormente trasmette un sentimento di disagio è la follia contenuta nei dialoghi, a tratti lucidamente inquietanti, dei personaggi. I monologhi di Andrew Ryan che accompagnano il giocatore sono carichi di pathos e contraddizioni, figli di un pensiero tirannico che simboleggia le ambizioni umane che si scontrano con l’egoismo, il paradosso del libero arbitrio che diviene possesso.
Riavvolgiamo il filo
L’horror videoludico si rileva dunque una categoria estremamente intrigante, capace di adattarsi a molteplici generi e colpire il giocatore su livelli profondamente differenti. La sua forza risiede, in primo luogo, nella capacità di distorcere il corso naturale, di alterare la percezione della normalità, rendendo estremamente fragili i nostri animi nel momento cui proviamo terrore.
Inoltre, alla trasversalità consegue la capacità del genere di contaminare opere narrative e action, amplificando il senso di disagio. L’horror, oggi, non viene più percepito alla stregua di mera esperienza di paura, bensì un viaggio all’interno dell’intricato catalogo della psicologia umana, un mezzo per farci largo nel mare in cui razionale ed irrazionale convivono.
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