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TLOH Trails through Daybreak II Recensione

TLOH Trails through Daybreak II Recensione Nadia

Quando Trails through Daybreak II uscì in Giappone, notai subito come la fanbase (sia orientale, sia occidentale ma con conoscenza del giapponese) risultasse molto divisa sulla qualità del secondo capitolo della saga di Calvard.

Alcuni lo stavano odiando, altri lo apprezzavano ma con delle riserve. In ogni caso, lo scenario era ben diverso da quanto capitato con Daybreak I, accolto quasi unanimamente come una necessaria ventata d’aria fresca dopo la lunghissima saga di Cold Steel (culminata in un altro controverso capitolo, di cui potete trovare la mia recensione qui.)

Trails through Daybreak II eredita pregi eccezionali ma fatica ad espanderli

Se avete preso un attimo per andare a controllare la mia recensione di Cold Steel IV, avrete notato che l’ultimo capitolo ad aver creato controversie nella serie è stato invece molto apprezzato da me. Per quanto io concordi con molte delle lamentele generali diffuse nella fanbase, penso che i pregi mettano in ombra gran parte dei difetti.

Per questo mi sono approcciato a Daybreak II con il solito ottimismo. Ho atteso l’arrivo della mia limited edition da Nihon Falcom e… non l’ho giocato. Per un mix di ottimo tempismo di Nisa e pessimo tempismo nella consegna del gioco dal Giappone, mi son trovato a dover aspettare la release occidentale.

Questo preambolo per evidenziare una cosa: Daybreak II è un gioco che avevo veramente voglia di giocare, anche per scoprire le ragioni per cui è risultato tanto divisivo, cosa che è stata confermata anche dalla stampa occidentale in questi giorni. Questa curiosità mi ha portato ad avere un approccio un po’ più analitico del solito ed è da questo approccio che son arrivato ad una conclusione.

Il più grande difetti di Trails through Daybreak II è una confusione creativa sul cosa vuol essere questo gioco. Ha il numero 2 nel titolo, ma non è un vero e proprio sequel. Utilizza degli stratagemmi narrativi e strutturali più affini ad uno spin-off, ma si vende come un gioco non solo canonico (che non è un male di per sè) ma soprattutto full price.

L’importanza di quest’ultimo dettaglio diventerà evidente a fine recensione.

Nel mentre vi invito a leggere la mia recensione di Trails through Daybreak, tanti pregi sono condivisi e tenerlo a mente giustificherà molto meglio il voto, in quanto andrò a parlare di tanti contro dell’esperienza ma bisogna tenere presente che il cast eccezionale e l’ottimo combat system sono presenti anche in questo “sequel”.

Un loop caotico

La storia di Trails to Daybreak II inizia col piede giusto. Il prologo è molto interessante e soprattutto va dritto al punto, cosa che la serie è stata colpevole di non aver fatto in molti altri capitoli.

In seguito al recupero del settimo Genesis, gli assistenti Spriggan sono tornati nelle proprie città natale, lasciando Van e Agnès temporaneamente soli nella capitale. Il piano è di riunirsi a breve per completare la ricerca dell’ultimo Genesis, prendendosi però del tempo per riposarsi dopo gli eventi di Pandemonium.

A Edith però cominciano a succedere delle cose strane, la rete della città è disturbata e la bracer Elaine chiede aiuto allo Spriggan per investigare. Presto si imbattono in Grendel Zolga, versione corrotta dell’alter Ego di Van, Grendel, uno dei misteri rimasti irrisolti alla fine del gioco precedente.

Combattendolo però, i due muoiono. Van non può trasformarsi in Grendel per l’assenza di Agnès e ciò porta alla morte dei due combattenti…ed è qui che inizia la storia del gioco. Agnes arriva giusto in tempo per vedere il suo capo morire e a quel punto il Genesis che porta in tasca brilla e il tempo viene riavvolto al mattino.

Siamo quindi dinnanzi ad una storia di loop temporali, piena di bad ending e con varie route che portano verso un eventuale happy ending. Un concetto non del tutto nuovo per la serie ma che per la prima volta viene utilizzato a livello di struttura di gioco, piuttosto che relegato a semplice colpo di scena per giustificare delle possibili incongruenze narrative.

Tuttavia non è l’unica “gimmick” narrativa utilizzata dagli scrittori. La storia è infatti divisa (per la prima metà) in due parti, una che vede Van andare alla ricerca dell’eredità di Almata, villan del gioco precedente, l’altra che vede Swin, Nadia alle prese con l’ultimo Genesis.

Che scricchiola

Solo in questa seconda sezione è rilevante il loop temporale, in quanto Van non ha con sé il Genesis che lo triggera ed è qui che sorge il primo problema di Daybreak II. I primi due atti sono essenzialmente inutili. Certo, mettono qualche nuovo pezzo sulla scacchiera che sarà inevitabilmente importante in Kai no Kiseki (per ora disponibile solo in giapponese e cinese qua), ma c’è comunque poca sostanza.

Inoltre aver introdotto la struttura loop per poi relegarla a una gimmick di una route specifica, implementata anche maluccio, ne spreca il potenziale. In questi primi due atti, che durano comunque una ventina d’ore di gioco, non capivo dove Daybreak II volesse andare a parare e sentivo mancare il mordente della narrazione del primo.

I personaggi sono tutti già ben delineati, quindi gli scrittori non possono contare su una serie di archi d’introduzione molto interessanti come nel gioco precedenti. Questo porta i primi due atti ad avere poco da dire.

A questo punto, capivo perfettamente come mai questo gioco abbia creato tanto dissapore nella fanbase. Non solo sembrava pressoché inutile ma si poneva come sequel di un capitolo eccezionale.

Solo le migliorie di Quality of Life del combattimento, oltre che un bilanciamento veramente eccezionale a modalità difficile, mi han salvato dalla totale noia. I personaggi son divertenti e vedere le interazioni tra Aaron, Van e Feri mi ha ricordato perché amo tanto Daybreak I, ma la situazione non era buona.

E poi, tutto diventa ancora più confuso. Ed è qui che il gioco comincia a brillare.

TLOH Trails through Daybreak II Recensione Atto 2
I primi due atti introducono gli attori necessari per Atto 3, ma il processo è veramente lento e poteva essere inglobato dal terzo atto

Fragment, uno spin-off nascosto nel gioco?

Dopo i primi due atti, parte un capitolo chiamato Fragment. Inizialmente sembra il classico capitolo di “pausa” narrativa, dove i personaggi han l’occasione di interagire tra loro in combinazioni che la storia normalmente non permetterebbe. Un classico di Falcom che però stavolta non se è guadagnata il diritto di rallentare la narrazione.

Fortunatamente, non è come sembra in superficie. Il Fragment è una specie di piccolo spin-off incentrato attorno ad Harwood, uno dei cattivoni più interessanti della serie, e serve per proseguire due delle storie più interessanti dei personaggi secondari, quella di Renne iniziata ancora in Trails in the Sky e quella di Quatre.

Tuttavia è nelle fasi finali del Fragment che nella mia testa comincia a formarsi l’idea granitica di quale sia il grosso problema di Daybreak II. Questo perchè nella chiusura di questo capitolo quasi auto-conclusivo è presente una singola scena che rende i primi due atti quasi completamente superflui.

Non solo il Fragment è un interessante spin-off ma anche il vero inizio di Daybreak II.

TLOH Trails through Daybreak II Recensione Harwood
Harwood è un personaggio molto interessante e divertente, per quanto lui stesso si definisca “filler” nel contesto della storia di Calvard

E poi finalmente, si inizia

A questo punto sono passate una trentina di ore di gioco e finalmente Nihon Falcom si decide a mostrare che cosa vuole raccontare. L’Atto 3 è il più lungo del gioco ed è essenzialmente dove tutta la trama si concentra.

Si tratta di una serie di diverse Route nei quali i personaggi cercano di evitare un bad ending che sembra scritto nella pietra. L’ultimo Genesis viene utilizzato per corrodere la realtà e cambiare le memorie degli alleati dei protagonisti, che si ritrovano a dover fuggire da tutto e tutti.

Tutto ciò che serviva venisse raccontato per concludere la ricerca dei Genesis è contenuto qua, ed è molto divertente. Certo, ha il problema di ri-utilizzare molti dungeon di Daybreak I e di basarsi un po’ troppo sui suoi asset, ma gli sviluppatori sono bravi a metterci un piccolo livello nuovo qua e là per giustificare….aspetta.

Verso la metà di Atto III, finalmente ho capito. Daybreak II è un mediocre sequel standalone per Daybreak…perchè doveva esserne un DLC. Sia la struttura narrativa che le novità meccaniche sono più accomunabili ad un’espansione come Future Reedemed di Xenoblade, piuttosto che ad un sequel mainline della serie.

Certo, i sequel diretti dei Trails usano sempre tanti asset del primo capitolo, ma ne introducono altrettanti. Di solito il primo è una base su cui poi il secondo costruisce la mappa completa della nazione, cosa che giustifica la struttura a capitoli adottata dalla serie.

Qui è diverso, Daybreak II è un remix di livelli, boss e in gran parte persino canzoni, dell’originale. Siamo davanti ad un DLC allungato per arrivare a ciò che gli sviluppatori pensavano potesse valere come “gioco completo”.

TLOH Trails through Daybreak II Recensione Atto finale
Nell’atto finale torna un focus più character driven, nonché un’aggressiva spinta sul triangolo amoroso dall’esito più scontato di sempre. Fortunatamente è gestito bene, come nel primo gioco, con enfasi più sull’incapacità di fidarsi di Van che sull’indecisione tra Agnés e Elaine.

Un bellissimo finale

Con Atto III concluso, si conclude anche la storia del gioco…che arriva ad un altro grande classico della serie: l’atto finale completamente character driven, dove la storia sul destino di Zemuria e gli intrighi politici passano in secondo piano per dare spazio ai conflitti personali dei personaggi.

E questa parte del gioco è genuinamente eccezionale. Qui è dove mi son convinto a pieno che Daybreak II doveva essere un DLC. Gli eventi sociali opzionali, unico punto del gioco in cui compaiono, sono scritti benissimo e approfondiscono sensibilmente il già eccezionale cast del primo gioco.

Il dungeon finale, così come il boss finale, sono spettacolari e giocano con le aspettative del giocatore per creare una battaglia che, pur essendo praticamente ambientata “fuori” dalla storia, ha tutto lo spettacolo dei migliori power fantasy in circolazione.

La musica finalmente propone tante traccie nuove (cosa che già aveva cominciato a fare in Atto III ma raggiunge il suo apice con il tema del boss finale) e tutto si conclude nel migliore dei modi.

TLOH Trails through Daybreak II Recensione – E quindi, come si tirano le somme?

Dinnanzi ad un gioco che per due atto sembra girare in cerchio attorno al nulla, per uno sembra uno spin-off interessante di sè stesso e per gli ultimi due diventa un bellissimo DLC del suo predecessore, trovo difficile raggiungere una conclusione netta.

Analiticamente, questo gioco raggiungerebbe comunque la sufficienza, percentualmente è di più il contenuto che mi ha divertito rispetto a quello che mi ha annoiato. Tuttavia la parte “brutta” è all’inizio, cosa che lo rende difficilmente approcciabile sia per un’altra run, sia se devo consigliare a qualcuno una prima run.

Alla fine, la conclusione che ho raggiunto è che l’esperienza generale mi è piaciuta. Non è un capolavoro, trovo frustrante la scelta di allungare il brodo per renderlo un capitolo standalone ma ciò che funziona, funziona veramente bene.

Purtroppo questo non è il sequel che Daybreak, un gioco a cui oggi in retrospettiva darei tranquillamente un 10, merita. Ma non è un brutto Trails e i fan della saga dovrebbero dargli una chance, anche solo come ponte verso il prossimo capitolo, Kai no Kiseki, la cui uscita ha riscontrato un successo decisamente maggiore e che non vedo l’ora di giocare. 

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